LA PILA DI BAGDAD



Nel 1936 alcuni operai impegnati nella costruzione di una ferrovia vicino a Baghdad dissotterrarono, a Khujut Rabu'a (sito di un antico villaggio mesopotamico) una tomba coperta da una lastra di pietra. Nel corso dei due anni successivi il Museo Iracheno di Baghdad ne estrasse un gran numero di oggetti artistici risalenti al periodo dei Parti (248 a.C. - 226 d.C.). Al tedesco Wilhelm Konig, l'allora direttore del Museo, fu sottoposto un oggetto costituito da un vaso di argilla gialla, in cui era cementato un cilindro di rame lungo 9 cm e largo 26 mm, chiuso anche dall'altra estremità da un tappo di asfalto, e al cui interno si trovava una barra di ferro. Sul fondo del cilindro era fissato un disco di rame, isolato con asfalto. Il fatto che i metalli apparivano erosi portò Konig a ipotizzare che si potesse trattare di una sorta di batteria elettrica. In effetti questo, come qualsiasi oggetto formato da due metalli, potrebbe funzionare come rudimentale pila se immerso in una soluzione acida. Ma usando rame e ferro come metalli, sarebbe difficile ottenere una corrente di intensità apprezzabile, e soprattutto si esaurirebbe nel giro di pochi minuti. Si potrebbe ovviare a questo problema usando come elettrolita acidi forti, ma sconosciuti all'epoca.Venuto a conoscenza della scoperta, un ingegnere americano, Willard F. M. Gray, costruì nel 1940 un modello funzionante di questa pila. Lo riempì di solfato di rame come elettrolito e scoprì che esso produceva effettivamente corrente elettrica, finche l'elettrodo di ferro non viene ricoperto da uno strato di rame. Altri scienziati, come Jansen, usarono benzochinone, una sostanza facilmente estraibile dalle secrezioni di alcuni centopiedi, mescolato con aceto. Ma tutti questi processi elettrochimici funzionano male, poichè manca nella pila di Baghdad un meccanismo che separi gli elettroliti che reagiscono con i due elettrodi.Konig venne a sapere che una serie di oggetti analoghi , forse provenienti dalle rovine di Ctesifonte, l'antica capitale dei Parti non distante da Baghdad, erano custoditi dal Museo di Berlino. Egli si recò quindi in Germania ad analizzare questi tre grandi vasi, uno contenente dieci cilindri di rame, un altro dieci tondini di metallo e l'ultimo contenente tappi di asfalto. Essi presentavano inoltre tracce di corrosione, e ritenne quindi di avere di fronte i resti di un gruppo di pile simili a quella trovata dall'equipe del suo Museo.Questa nuova scoperta fece concludere a Konig che una decisa di batterie erano state messe insieme per aumentare il voltaggio al fine immediato di placcare elettroliticamente gioielli in oro e argento.Ma i reperti finora ritrovati non hanno nessuna evidenza, o evidenza discutibile di essere elettroplaccati. A sostegno di questa ipotesi Konig descrive come gli artigiani di Baghdad ancora oggi usino una tecnica particolare di doratura galvanica. La corrente necessaria viene generata dall'ossidazione di un pezzo di zinco immerso nell'acqua salata, e collegato elettricamente all'oggetto da dorare. Tale tecnica però è molto simile a quella adottata in Europa nel secolo scorso e non è da escludere che il procedimento usato in Iraq sia un adattamento di quest'ultimo.Dobbiamo poi dire, per correttezza, che possiamo anche considerare l'oggetto come un contentitore di rotoli sacri, utilizzati a scopi magici o propiziatori. Diversi metalli erano utilizzati per rappresentare le divinità, e non sono rari oggetti simili usati a questo scopo. Ma anche se l'ipotesi della "pila" fosse corretta non dobbiamo stupirci. La storia ci insegna che sono molte le scoperte promettenti, dalle potenzialità enormi, perse però nel corso del tempo senza che ci fossimo mai accorti delle loro vere potenzialità.

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