ENIGMI STORICI

DI ATLANTIDE
In Es 19, 16 leggiamo: "e appunto al terzo giorno, all'alba, vi furono tuoni, lampi, una nube densa sopra il monte, e un suono fortissimo di tromba..."E più avanti, ai versetti 18-19: "Ora il monte Sinai fumava tutto, perché lahvé .era sceso su di esso nel fuoco, e il suo fumo saliva come il fumo di una fornace: tutto il monte tremava fortemente. Il suono della tromba diventava sempre più grande: Mosè parlava, e lahvé gli rispondeva con dei tuoni."È esattamente lo stesso linguaggio di Plinio: i due autori stanno forse parlando dello stesso genere di cose?Per quanto riguarda poi quello che dice Plinio nel capitolo 56, a proposito di strani fulmini che distruggevano sistematicamente ed esclusivamente le fortificazioni militari, leggiamo in Gios 6, 20 a proposito della distruzione di Gerico: "Ed avvenne che, come il popolo ebbe udito il suono della tromba ed ebbe lanciato un grande grido di guerra, le mura della città furono distrutte."Fu uno dei "fulmini" descritti da Plinio a distruggere le mura di Gerico?Su un arazzo indiano tessuto in memoria del 24° "Gina" (Maestro di vita), Mahavira, vissuto nel VI secolo a.C., l'artista ha raffigurato la processione giainista in onore del Maestro mentre nel cielo sullo sfondo ha disegnato, a scopo celebrativo, alcune navicelle sospese in aria. Questo particolare richiama immediatamente uno dei grandi poemi dell'India, il "Mahâbhârata", che è il più grande poema - lirico, epico e sapienziale - di tutta la storia dell'umanità. Nel III libro di quest'opera, il "Vanaparva" (Libro della foresta), il re Sâlva "Salì su per il cielo con la sua nave Saubha che può andare ovunque" (15, 15). La descrizione di questa nave è esattamente ciò a cui si è ispirato l'artista nel disegnare le sue navicelle nell'arazzo: "frutto di magia era la nave di Sâlva, decorata d'oro, munita d'asta, di stendardo, di carena e di lanciamissili" (18, 12). Si deve notare il fatto che anche nell'antico Egitto il geroglifico che indicava la divinità, o la presenza del dio, era appunto un'asta con uno stendardo in cima, e questa è sicuramente un'analogia alquanto singolare. Intanto Salva dalla sua nave poteva lanciare ... "missili che risplendevano come fuoco sfavillante" (18, 15), e nell'infuriare della battaglia celeste, a un certo punto ... "il cielo sembrò contenere cento soli, o gran re, e cento lune, e miriadi di stelle" (21, 36), mentre ... "su nel cielo si fece un grande fragore" (22, 3). Non sono forse questi gli stessi fenomeni che Plinio dice che erano stati visti in cielo, sulle campagne di Mantova e in provincia di Todi? Eppure qui siamo nella valle dell'lndo, alcune centinaia d'anni prima di Cristo.Ancora nel VI libro del "Mahâbhârata", il "Bhismaparavan" (Libro di Bhisma), vengono descritte, nel canto 114, straordinarie armi divine con queste parole: "aveva come raggi missili fiammeggianti; col vento che veniva prodotto dalle sue armi, col tuono generato dal fragore del suo veicolo, con le fiamme che uscivano dalle grandi armi ... Bhisma era per i nemici simile al fuoco della fine di un'era cosmica. Piombato in mezzo ad una schiera di carri, ne uscì poco dopo ... assalì con impeto il centro dell'esercito Panduide ... con sei velocissimi missili dal tremendo fragore, che assomigliavano al sole e frantumavano ogni difesa avversaria."Ed ancora nel canto 102 leggiamo che: "udendo il rumore che emetteva la sua arma da lancio, simile al tuono del fulmine, tutti le creature si rannicchiavano (sta parlando d'un mortaio?). Quattordicimila Cedi, Kaci e Karusha, tutti combattenti col carro, famosi, di nobili famiglie, pronti a morire, decisi a non tornare indietro, ognuno col suo vessillo decorato d'oro, assalendo Bhisma svanirono nella battaglia come nella Morte che li attendeva con la bocca spalancata, diretti all'altro mondo con tutti i loro carri, cavalli ed elefanti. Ed allora vedemmo ovunque, o re, carri con gli assi ed i finimenti spezzati, con le ruote frantumate a centinaia e migliaia. Di carri rotti con tutte le loro corazze, di guerrieri schizzati via dai carri, di frecce e corazze infrante, di asce, clave, mazze, scimitarre, pezzi di carro, faretre, pezzi di ruote, balestre, spade, braccia, teste con addosso ancora gli orecchini, guanti di protezione delle dita, vessilli abbattuti ed archi spezzati, di tutto questo era sparpagliata a distesa la terra."Non si porrebbero descrivere meglio, o diversamente, le conseguenze d'un bombardamento a tappeto, la vista di cose e persone dilaniate in un attimo da un'immane esplosione. Bhisma aveva distrutto da solo, e in pochi istanti, quattordicimila carristi "con tutti i loro carri, cavalli ed elefanti". Forse qualcuno potrebbe pensare che l'autore di questi versi era una specie di Nostradamus indiano e che il racconto è frutto d'una visione profetica. Questo è ben difficile che sia possibile, anche perché racconti analoghi li troviamo un po' in ogni parte del mondo.Ad esempio tra gli antichi racconti dei popoli precolombiani, ritroviamo nella mitologia Dakota la descrizione di titanici combattimenti tra gli Uccelli del Tuono e grandi "animali divini" di terra chiamati Unktehi, dalla cui "coda" e dalle cui "corna" uscivano lampi di fuoco accompagnati da tuoni. Le battaglie tra questi "animali divini" si concludevano sempre con gravi perdite da entrambe le parti.Stranamente, presso i popoli antichi di tutto il mondo, veniva usata la stessa parola, "animale", per indicare macchine belliche o velivoli da trasporto talmente avanzati tecnologicamente da apparire, in quei tempi, manifestazioni soprannaturali. Anche nella Bibbia il profeta Ezechiele usa ripetutamente la parola "animale" (Ez: 1, 5; 2, 13; 10, 15; 10, 20, per citare solo alcuni passi) per indicare l'apparecchio misterioso che vede a Babilonia, sulle rive del canale Kebar, e che lo prende a bordo per portarlo qualche chilometro più in là, a TeI Abib nella Bassa Caldea, dove il profeta risiedeva. Un anno dopo Ezechiele verrà trasferito in volo addirittura fino a Gerusalemme. Egli cerca di descrivere, nel modo migliore che gli riesce possibile, ciò che vede. Sembra che stia parlando di elicotteri. Infatti dice che "essi sfavillavano come un globo di rame terso" (Ez 1, 7), mentre "le loro ali erano unite l'una all'altra" [cioè le pale del rotore unite al centro] (1, 9). "Sopra le teste degli animali" [i caschi dei piloti] "c'era come una volta celeste con lo splendore del cristallo" [la cupola della cabina di pilotaggio] (1, 22). "Quando si muovevano io udivo il rumore delle loro ali simile al rumore di acque impetuose ... quando si fermavano le ali si abbassavano" (1, 24). "C'era un rumore sopra la cupola che era sopra le loro teste" (1, 25). Si tratta delle turbine che alimentano il moto delle pale, come è lo stesso Ezechiele a spiegare: "udii che le ruote venivano chiamate 'turbine'" (10, 13). Il profeta viene costretto a salire a bordo di uno di questi elicotteri: "Lo spirito mi sollevò e io udii dietro di me un grande frastuono mentre la gloria di lahvé si sollevava" (3, 12). "C'era il rumore delle ali degli animali che battevano l'una sull'altra [le pale del rotore], il fragore delle ruote [le turbine], e il rumore d'un gran frastuono" (3, 13).Chi è salito su un elicottero, sa bene di cosa parla Ezechiele. In altri punti la sua descrizione è identica a quella che troviamo in alcuni passi dei "Testi delle Piramidi" dove, nel capitolo dedicato al "trono celeste", leggiamo che il faraone "sale in cielo sul suo trono di metallo" (cfr. Ez 1, 26). Questo "trono" è decorato con facce di leone (Ez 1, 10), mentre i suoi piedi sono simili agli zoccoli d'un bue (Ez 1, 7). Ezechiele ha copiato alla lettera dai "Testi delle Piramidi", o tutti e due stanno descrivendo lo stesso oggetto?Certo non è soltanto questo profeta a parlare di strani velivoli nella Bibbia. Ecco cosa dice David nel secondo libro di Samuele, dopo il suo insediamento in Gerusalemme, quando ricorda l'intervento "divino" in sua difesa durante le guerre contro i Filistei:"Il fumo usciva dalle sue narici;dalla sua bocca uscì un fuoco distruttorementre braci ardenti schizzavano fuori da essa....una nube caliginosa sorreggeva i suoi piedi.Salì sopra un cherubino e volò;egli si spostò spinto da un ventomentre si formava una nube oscura tutto intorno;lo circondavano come un abitacoloin un fragore d'acque e densissime nubi.Dallo splendore che emanava tra le nubischizzavano pietre incandescenti.Il Signore tuonava dal cielo,l'Altissimo produceva il suo suono.Scagliò i suoi bolidi e disperse i nemici,vibrò le sue folgori e li mise in fuga." (2 Sa 22, 9-15).Un servizio analogo l'aveva ricevuto trecento anni prima il faraone Ramosis II a Kadesh, sulle rive del fiume Oronte a nord del Libano, quando anche lui, come David, si trovò circondato dai nemici e in situazione d'estremo pericolo. Nel resoconto di quella battaglia, scritto sulle pareti dei templi di Karnak, Luxor e Abido nonché su papiri come il Sallier III, leggiamo:"Uadjt abbatteva per me i miei avversari, il suo vento infuocato da braci ardenti era di fronte ai miei nemici ... questi raggi bruciavano le membra dei ribelli, e ognuno di loro gridava all'altro: 'attenti!'. La grande Sekhmet lo guidava ... chiunque provava ad avvicinarsi al re il raggio ardente come fuoco ne bruciava le membra, mentre altri in lontananza volavano via dal terreno, (ed altri si piegavano) con le loro mani alla mia presenza ... essi erano a mucchi davanti al mio cavallo, erano stesi a mucchi nel loro sangue."Anche Ramosis Il, come David, parla di "braci ardenti"; l'uno parla di un "raggio ardente", l'altro di "folgori", ma nel resoconto di Ramosis c'è un elemento nuovo: i nemici che "volavano via dal terreno", come sospinti da un'esplosione. Ci sono persone per le quali non si tratta altro che di retoriche e allucinate iperboli. Per loro infatti la parola "uadjt" significa non la divinità chiamata appunto "Cobra", ma l'ureo fissato sulla corona posta sulla fronte del re, da cui sarebbero "poeticamente" usciti quei raggi mortali che avrebbero fulminato migliaia di nemici. Questa sì che è vera... fantasia anche se, ad alimentarla, ci si mette di certo la tradizionale ambiguità dei testi egiziani! È comunque una singolare coincidenza il fatto che, ancora oggi, gli elicotteri d'assalto dell'aviazione israeliana si chiamino curiosamente "Cobra"...In un papiro d'epoca tolemaica (copia d'un papiro più antico d'epoca ramesside) chiamato "Setne II" e custodito al British Museum con la sigla D.C. IV; si narrano alcune vicende legate al figlio di Ramosis Il Khaemuaset, chiamato anche "Setem", cioè Sommo Sacerdote (di Ptah). Il teatro dell'azione è naturalmente Menfi, dove Khaemuaset viveva e svolgeva le sue funzioni religiose. Nel racconto il principe ha un figlio, Sausir, che è in realtà l'incarnazione d'un potentissimo mago vissuto in Egitto 150 anni prima, quando regnava Thotmosis III, ed il cui nome era Horus sapaenshu. Questo mago è ritornato sulla terra e si è incarnato nel piccolo Sausir (un Harry Porter dell'epoca!) perché proprio allora sarebbe ritornato anche un altro mago, nemico dell'Egitto, che era stato confinato fuori dal mondo proprio per il periodo di 150 anni. Quando il mago malvagio in effetti si presenta a corte per compiere la sua vendetta, Sausir-Horo sapaenshu è l'unico che può fronteggiarlo e neutralizzarlo. Egli racconta al faraone, in presenza della corte, cosa successe quando era re Thoutmosis III, ed ogni parola del suo racconto è contenuta nel papiro che il mago malvagio ha portato con sé dall'Etiopia. Costui, in quel tempo, aveva costruito con una "cera magica" un veicolo sorretto da quattro non meglio identificati "sostentatori". Poi, soffiando su questa costruzione, le diede vita. Questo veicolo fu allora in grado di recarsi durante la notte in Egitto e, aspettando la cattura nel sonno del faraone, portarlo in Etiopia, aspettare che venisse bastonato dagli etiopi e riportarlo di nuovo nel suo palazzo, il tutto in sei ore. Horo sapaenshu non sa come fronteggiare questa situazione, così si addormenta nel tempio di Thot. Il dio gli si presenta in sogno e gli rivela un nascondiglio segreto dove sono custodite le istruzioni che consentiranno anche a lui di poter costruire un "carro magico". Horo sapaenshu fa come gli ha detto il dio e dopo un po' "Le magie di Horo sapaenshu correvano in mezzo alle nuvole del cielo e non perdevano tempo a muoversi nella notte (andando) verso il paese degli Etiopi. (Arrivati lì) s'impadronirono del re (degli etiopi, n.d.a.) e lo portarono in Egitto ... poi lo riportarono a Saba (Meroe) il tutto in sei ore." Il re degli etiopi, spaventato, dice allora al suo mago: "per Amen, il potente di Saba, mio dio, se capiterà che tu non sappia salvarmi dal carro magico degli egiziani, ti farò fare una brutta morte tra i tormenti." Così il mago etiope va in Egitto e, di fronte al faraone Thotmosis III, inizia una gara di magia con Horo sapaenshu. Ad un certo punto l'etiope "sospese una grande lastra di pietra che misurava duecento cubiti di lunghezza e cinquanta di larghezza (80 mt x 20 mt) sopra il faraone e i suoi nobili." Al che Horo riesce a far scivolare l'immane macigno su di una chiatta ormeggiata sulla riva del fiume, liberando il faraone. Dopo altre schermaglie, la storia si conclude con l'immancabile vittoria del Bene sul Male. Il problema che abbiamo noi, di fronte a questo racconto, è quello di capire se la fiabesca fantasiosità della trama si poggia, e fino a che punto, su basi di realtà. Abbiamo visto che, nel papiro Tulli, Thoutmosis III dà ordine di andare a consultare "tutto quello che è scritto nei rotoli di papiro della Casa di Vita". È legittimo presumere che l'ordine riguardasse la consultazione non su come coltivare l'aglio e le cipolle, ma su quante e quali analogie potessero avere i fenomeni celesti di quei giorni con altri eventi o fatti di cui il re era già a conoscenza e che lui sapeva essere annotati negli Archivi di Stato. Ricevuti tutti i documenti, Thoutmosis III si mette a riflettere su di essi cercando di capire, paragonando i dischi volanti di quei giorni ad altri casi evidentemente già documentati o al movimento, e la prevista presenza, di altri apparecchi di cui lui conosceva il comportamento.Un altro riscontro è il seguente. Tra i monti del Libano, ad un'altezza di 1200 metri sul livello del mare, si eleva una collina, chiamata Baalbek, sulla quale è stato edificato uno dei complessi templari più incredibili di tutta l'antichità. Quando vi arrivarono i greci lo dedicarono a Giove e come tale ancora oggi viene identificato. Le basi del complesso edilizio, tuttavia, hanno chiare origini megalitiche. Tra esse si trovano tre monoliti che non hanno eguali in nessun'altra parte del mondo, neanche tra le fortezze Inca in Perù o il complesso di Giza in Egitto. Si tratta di tre parallelepipedi ciascuno lungo quasi 20 metri e largo 4, ciascuno del peso di 1000 (mille!) tonnellate. È già incomprensibile come siano stati elevati a sei metri d'altezza dal terreno e posti su altri blocchi, perfettamente squadrati e aderenti tra loro. Ma la cosa ancor più inimmaginabile è come questi monoliti possano essere stati portati lassù, su una collina, a 1200 metri d'altezza! Da alcuni anni la NASA ha iniziato lo studio e la progettazione di apparecchiature che, producendo particolari onde sonore, sarebbero in grado di sollevare oggetti anche particolarmente pesanti (levitazione acustica). Sarebbe questo il sistema usato a Baalbek e nel racconto di Setne Il?Il papiro "Setne Il" è un racconto celebrativo della grandezza egiziana, in cui si trovano elementi chiaramente fantastici. Tuttavia non si tratta d'una fiaba, dal momento che molti elementi sono del tutto reali. Reali sono, infatti, i faraoni Thoutmosis III e Ramosis Il; è realmente esistito il figlio di Ramosis II che si chiamava Khaemuaset; è vero che questo principe occupava la carica di sacerdote supremo di Ptah e che risiedeva a Menfi. Il conflitto tra Thoutmosis III e i nubiani è assolutamente vero, com'è testimoniato negli "Annali" di questo re. A questo punto c'è da chiedersi: saranno veri anche i riferimenti al "carro magico" ed al monolite sospeso per aria? Per quanto riguarda il "carro magico", il papiro Tulli non è l'unico riscontro noto e possibile con cui stabilire un collegamento. Ce ne sono anche altri: il più noto è il testo letterario del "Libro dei morti" degli antichi egizi.Tra i papiri che riportano le varie versioni ve n'è uno, custodito al British Museum, noto come "papiro di Ani", la cui versione è tra le più diffuse. Ani, da vivo, era governatore dei magazzini di Abydos e responsabile delle offerte, nonché scriba dei redditi (amministratore) dei signori di Tebe. È vero che questo testo rituale veniva ricopiato, per ogni singolo committente, da una base di formule uguali per tutti, ma è anche vero che ci sono personalizzazioni e modifiche che variano da persona a persona. Chissà. se Ani, nella sua vita, fu anche qualcosa d'altro, oltre quello che raccontano i suoi titoli ufficiali. Nel capitolo CXXXlII egli, ormai morto, come in un testamento spirituale prende un solenne, pur se rituale, impegno: "non dirà l'Osiride Ani giustificato (cioè da morto) ciò che ha visto, né ripeterà da Osiride (ciò che ha sentito) nella dimora segreta." E meno male che ha preso questo impegno, dal momento che in altri capitoli lui fa confessioni che ci lasciano sconvolti! Chissà, se non avesse preso questo impegno a stare zitto, quali altre cose ci avrebbe mai raccontato.Ecco cosa dice, infatti, nel capitolo LXXVII: "io volo via e poi atterro (stando) dentro il falco; il suo dorso misura sette cubiti (3,7 metri), le sue due ali sono come di feldspato verde. lo esco dalla nave-sektet, il mio cuore va sulla montagna orientale" (il Sinai? Oppure la montagna sacra dello Wadi Hammamat?).Capitolo LXXVIII: "io ti do il nemes di Ruty, il mio, affinché tu possa andare e tornare per la strada celeste. Gli dei del Duat, che sono all'estremità del cielo, ti vedranno, ti rispetteranno, s'impegneranno davanti alle loro porte per te, lahwed sarà con loro. Essi si sono dati da fare per me, gli dei padroni dei confini (del mondo), coloro che sono legati alla dimora dell'unico Signore. lo infatti in alto (ero) presso lui che galleggiava: dopodiché egli prende il mio nemes, come aveva detto Ruty. lahwed apre per me un passaggio. lo sono in alto, Rury aveva preso il nemes per me, l'aveva messo sulla mia testa, aveva allacciato per me il mio corpo nel suo schienale, per la sua grande potenza io non posso cadere nel vuoto ... io ho visto le sante cose segrete, io sono stato addestrato nelle operazioni nascoste, io ho visto ciò che c'è in quel luogo, il mio pensiero è nella maestà del signore dell'aria. ... io sono come Horo tra i suoi illuminati ... ho attraversato le regioni più lontane del cielo. ... 'Un bel viaggio!' mi hanno detto le divinità del Duat." Questo capitolo è semplicemente sconcertante. Gli egittologi dicono che si tratta d'una descrizione immaginaria del viaggio del morto nell'aldilà. Solo che c'è un piccolo, tremendo, particolare: il passo in cui Ani dice "io infatti in alto (ero) presso lui che galleggiava", parole che non possono essere nient'altro che la descrizione della mancanza di gravità. Gli egittologi preferiscono "tradurre" questo passo in modo delirante piuttosto che guardare le cose come stanno. Uno di loro traduce: "salute a colui che è esaltato che è sul suo ornamento". L'insensatezza e la gratuità di frasi simili è ancor più chiara se andiamo a guardare la traslitterazione del testo originale. Quella relativa al passo in questione è la seguente [tra le virgolette la traslitterazione, in parentesi tonda la traduzione letterale per ogni singola parola]: "ì" (io) "ìn" (infatti) "q3" (in alto) "hr" (presso) "÷b3" (galleggiava) "f" (lui). È impossibile equivocare, eppure c'è gente che lo fa. È ovvio che nessun abitante della terra, 3500 anni fa, poteva immaginare viaggi nello spazio extraterrestre, e men che meno l'esistenza della mancanza di gravità: in che modo allora Ani, o qualcun altro prima di lui, avrebbe potuto sapere una cosa simile? È davvero mai possibile che ci sia stato proprio qualcuno, a quell'epoca, fuori dall'atmosfera terrestre?Se vogliamo credere alle parole di quel testo, ecco cosa dice ancora il capitolo CLXXV: "cos'è questo? lo vi ho viaggiato e, inoltre, non c'è acqua, non c'è aria, non c'è vento, è buio, oscuro, senza limiti, senza confini." Potremmo noi descrivere lo spazio extraterrestre con altre parole? Per contro, queste parole potrebbero essere state usate per descrivere una qualche esperienza sulla terra, oppure un modo degli antichi egizi d'immaginare l'aldilà? Assolutamente nessuna di queste due cose: l'assenza d'aria non è un'esperienza che si può fare sulla terra, tranne che sott'acqua. Immaginare poi l'aldilà come un luogo senz'acqua, né aria, né vento sappiamo che era del tutto impossibile per gli antichi egizi, che collocavano nell'aldilà i "campi di Ialu", campi eterni nei quali i faraoni coltivavano le messi, serviti da una schiera di "ushabti". Ani dunque non parla solo di galleggiamento "in alto", ma anche di assenza d'aria ed acqua: se un indizio è poco, due sono troppi. Ani non sta parlando del viaggio del morto nell'aldilà, ma d'un (suo?) viaggio reale, in vita, al di fuori dell'atmosfera terrestre, della fase preparatoria di questo viaggio e delle operazioni di attracco e trasferimento nello spazio. C'è anche un misterioso dio, Iahwed (chi sarà?), che dopo aver aiutato Ani ad entrare nella stazione spaziale, lo aiuta anche a togliersi il casco. Per inciso, il nome in geroglifico di questo dio, con la sola mancanza della "d" finale, lo ritroviamo nel tempio di Amenhotp III a Soleb, nell'attuale Sudan. Nella sala ipostila, alla base delle colonne, quando vengono elencati i nomi delle tribù sottomesse, a un certo punto leggiamo: "beduini shasu di Yahwe". Ma tornando a quello che dice il "Libro dei morti", Ani parla anche del suo ritorno sulla terra, quando sbarca ed esce dal recinto dell'astroporto. Ecco cosa dice al capitolo LXXXVI: "io ho passato un giorno nella base isolata dove c'è l'avvampamento (una base di decollo e atterraggio?), vi ero andato in missione, ne ritorno per rendere conto, aprimi affinché possa dire ciò che ho visto. Horo è il comandante della nave divina, ... io vi sono entrato stimato ed esco ingrandito attraverso la porta del Signore dell'Universo." L'autore originario di questo passo, chiunque sia stato, sembra voler mettere all'incasso il suo eccezionale viaggio, per intascare delle molto terrene credenziali politiche! È molto probabile che le sue pretese abbiano dato fastidio a qualche potente terrestre, ma questo non lo sappiamo, come non sappiamo di cosa sia morto.Ani dunque come Ezechiele? È impossibile dirlo con certezza perché il "Libro dei morti", oltre ad essere un racconto letterario, è anche un racconto ritualizzato (o meglio teatralizzato) di eventi molto più antichi, per cui Ani ripeteva a pappagallo cose di cui avrebbe anche potuto ignorare il vero significato. Ad esempio il testo del capitolo 175, com'è noto, è molto antico e lo ritroviamo in epoche precedenti a quella di Ani, come il periodo eracleopolitano, cosicché questo brano risulta essere, come tutti gli altri, una ripetizione cerimoniale. Tuttavia, a proposito del viaggio del Falco Divino, Rundle Clark, nel suo "Myth and Symbol in Ancient Egypt" (Londra 1959), sostiene che, per quanto riguarda questa parte del racconto mitico, si tratta di "una creazione letteraria indipendente, che aveva reciso i legami col rito" (i personaggi divini, ad esempio, sono completamente privi di ogni sacralità). Ci troviamo di fronte dunque ad alcune "anomale" interpolazioni che, in qualunque epoca siano state compiute, rafforzano l'enigma riguardo al fatto che questi viaggi nello spazio qualcuno possa averli davvero compiuti. La datazione dei personaggi e degli eventi esclude che questi viaggi possa averli compiuti anche Ani? Dobbiamo osservare che il fiorire di tutta questa letteratura coincide, dal punto di vista storico e cronologico, con periodi in cui sono redatti, da scribi dell'esercito, documenti di Stato che attestano drammatici "incontri ravvicinati del terzo tipo" con macchine volanti, inconcepibili per quell'epoca. Questi documenti non solo esistono e sono reali, ma sono anche, contrariamente a quanto è avvenuto per il papiro Tulli, correttamente e ufficialmente catalogati nel "corpus" dei testi storici. Ne riparleremo presto, fornendo tutta la corretta documentazione a riguardo. Di certo il "caso" del Papiro Tulli è soltanto la punta di un iceberg. La parte ancora sommersa, che deve essere portata alla luce, è molto più grande di quello che finora si vede.Inoltre è noto come presso altri popoli esistano altre analoghe descrizioni. In un racconto babilonese, "Le imprese del dio Ninrag", si parla di "un carro di lapislazzuli ... terribile e spaventoso" a cui "Anu dona terribile fulgore nel cielo" e che "a causa del rimbombo e dell'immemo frastuono, rintronano per il suo movimento il cielo e la terra".Nell'"Epopea di Gilgamesh" il leggendario re di Uruk deve compiere l'impresa di distruggere un "toro disceso dal cielo". La dea Astarte, che lo ha ricevuto in dono da suo padre, il re degli dei Anu, "ora lo guida giù sulla terra. Con un soffio (un missile?) il toro celeste aprì una voragine: vi furono inghiottiti dentro cento uomini. Con un secondo soffio aprì un'altra fossa: vi furono inghiottiti dentro duecento uomini di Ururk."La suprema divinità degli Ittiti, il dio della tempesta, del tuono e del fulmine Teshub, era stranamente associato alla figura del toro. In alcune liste sacrificali ittite compare frequentemente l'indicazione di "un grande toro di ferro", oppure di "un grande toro d'argento". Questo culto era particolarmente vivo a Catal Huyuk, tra le cui rovine sono stati trovati, peraltro, dei teschi "umani" molto particolari.La quantità e la qualità di questi documenti è tale da costringerci a pensare che non si può trattare solo e sempre di fantasie, equivoci o allucinazioni. In ogni parte del mondo, nell'antichità, viene narrata e testimoniata la presenza di esseri e di oggetti "divini", circondati da attrezzature e/o fenomeni che agli indigeni terrestri d'allora apparivano come manifestazioni soprannaturali o di magia. Queste testimonianze provengono da ogni parte del globo, da culture completamente diverse tra loro e persino, in qualche caso, da grandi personalità storiche del passato. La cosa più sconcertante è che tutte queste svariate testimonianze descrivono le stesse cose con le stesse parole.

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